Come ti dicevo domenica scorsa, ho gareggiato per la prima volta in Grecia. Fino a qualche settimana fa ero convinta che la maratona di novembre sarebbe stata la mia prima gara greca. Poi è capitata l’occasione… e che fai, te la perdi? Oggi ti racconto com’è andata.
Il giorno prima, al ritiro pettorali, c’era un caldo atroce. 27 gradi, una lunga fila al sole e io che studiavo i punti di ristoro sulla mappa, convinta che mi sarei disidratata. Invece la mattina dopo mi dava il buongiorno un cielo plumbeo. Lungo il tragitto di circa un’ora, tra metro e tram, il cielo era sempre più scuro. A mezz’ora dalla partenza diluviava e avevo già le scarpe zuppe. In attesa sotto una tettoia guardavo le pozzanghere formarsi e non ci potevo credere. Il 27 aprile, ad Atene, pioggia fitta e vento freddo, e solo il giorno prima era estate. La mezza maratona precedente l’avevo fatta annegata nell’acqua, in Sicilia, ma era gennaio!
Sì, avevo controllato le previsioni. No, non davano pioggia. C’è stata gente che ha deciso di non partire, io ero determinata a correre comunque. Alle 8:05 sono andata a consegnare la borsa e la palestra che le avrebbe custodite era riscaldata. Nessuno aveva voglia di tornare fuori sotto la pioggia. Alle 8:10 mi riscaldavo con un po’ di stretching dinamico, una corsettina blanda, un paio di allunghi. Alle 8:20 ero in griglia, blocco 4. Piovigginava e faceva freddo ma l’energia era alta, con musica a bomba, una speaker piena di entusiasmo, tanta gente sorridente intorno. Molti portavano la maglia della maratona 2024, quella che io ho saltato. L’anno prossimo la porterò anche io, pensavo. E fremevo: avevo una gran voglia di partire. L’avvio era fissato per le 8:30.
Allo start la speaker ha gridato kalò dromooooo e io sono partita con un sorriso grosso così. Mi sentivo benissimo. Non pioveva più. Anche se il coach mi aveva raccomandato di non partire a palla, ma modulare al ribasso per i primi km, non potevo fare a meno di seguire il ritmo di chi avevo intorno. Ho corso pochissime gare, finora, ma tutte le volte ho pensato a quanto sia bello sentire intorno a sé tanti passi, tanti respiri, tanti cuori. Ognuno ha il suo ritmo, ma in quel momento siamo tutti parte della stessa storia. Ognuno suona la sua musica, ma insieme siamo un’orchestra. Quando ho ripreso a correre non mi interessava il mondo delle competizioni, ho cominciato solo perché il coach mi ha consigliato di fare esperienza della logistica di gara prima di affrontare la mia maratona. Inaspettatamente ho scoperto che mi piace perché si crea quell’atmosfera lì. Quella comunanza.
Per la prima metà della corsa ho tenuto un bel ritmo, quello che volevo e sapevo essere alla mia portata. I ristori erano ben posizionati, la gara organizzata alla perfezione. C’era la gente ai bordi che tifava e ogni tanto dei musicisti ad accompagnarci per un pezzettino. La carica restava alta anche se ogni tanto tornava a piovere. Poi…
Intorno al km 11 ha bussato una vecchia amica all’arco del piede sinistro, una vescica che nel mese precedente mi si era formata dopo una corsa lunga e faticava a rimarginarsi. Con pazienza l’avevo guarita, sembrava una cosa superata. E invece no. Non solo è tornata, ma era grossa il triplo e mi faceva male. Ho dovuto rallentare. Non riuscivo più a tenere il passo sostenuto ma di fermarmi non se ne parlava. Anziché sconfortarmi mi sono intestardita: la chiudo, non m’importa del tempo.
Sapevo di essere in grado di fare di più, ma ho imparato da un pezzo che le corse perfette non esistono. Esistono le corse che capitano, e le cose che ci capitano dentro, bisogna affrontare quello che c’è. E quindi via, corriamo con la vescica e moduliamo il passo per sopportarla. Al km 14, forse perché compensavo il dolore al piede con un appoggio non proprio corretto, si è presentato anche un crampo. Ho resistito per un po’, poi ho dovuto fermarmi per qualche minuto. Ho recuperato, sono ripartita. Stavolta, sì, un pochino sconfortata, ma non sconfitta. La velocità ormai era andata a farsi benedire. L’ultima salita1 non ha aiutato. Sono tornata a spingere negli 800 metri finali, stringendo i denti per arrivare al traguardo come desideravo, almeno quello.
L’ho detto e lo ripeto, io non sono una veloce. Corro lenta e mi sta bene. Lavoro per migliorare ma non è il mio obiettivo primo. Non mi paragono a nessuno e non mi interessa la dimensione della gara per dimostrare qualcosa. Mi piace l’energia collettiva che mi induce a dare di più, ma è una prova con me stessa, per vedere a che punto sono arrivata.
Ero partita sapendo di poter tenere un certo ritmo e chiudere la corsa in un certo tempo. Tant’è che alla fine, avendo concluso la gara sotto le mie possibilità, non ero neanche così stanca. E mi dispiaceva non esserlo. La stanchezza di fine gara è una prova che hai dato tutto. Io ho dato quello che potevo con le condizioni che avevo.
Sei felice? - mi ha chiesto la mia amica Fra a cui ho mandato la foto con la medaglia. Sì, ma. Sono sempre quella del sì, ma. Anziché gioire perché avevo corso la mia prima gara greca, perché l’avevo chiusa con facilità, e nonostante gli impedimenti, continuavo a pensare all’occasione persa: potevo fare molto meglio! Ho indugiato in questo atteggiamento per qualche minuto, poi mi sono data una scossa: ma finiscila! Sei ad Atene, hai appena finito una gara, hai la medaglia al collo e sei sdraiata su un prato umidiccio ma soffice insieme a tante persone contente. Spegnila, ‘sta testa, e goditi il momento. Ho riso. Sì, ero felice.
Quando gli ateniesi ti dicono che una gara è tutta piana non crederci. Ad Atene il concetto di salita vs. piano è diverso da quello comune. C’era qualche salita, c’era. Corta, ma c’era. Falsopiano, ma c’era.
Esistono le corse che capitano, e le cose che ci capitano dentro...
Il mio nuovo mantra!
Grazie Sara 🇬🇷🥇🏃♀️💪και πάλι καλό δρόμο
E' una delle cose che più amo della "Corsa".
Quando corri devi essere disposto a "prenderti quello che viene" ...e quello che viene non coincide sempre con quello che tu avevi prensato sarebbe stato.
Questa è l'unica Attitudine che conosco, l'unica che fa per me.