Controllavo il meteo da giorni perché si attendeva una settimana funestata da eventi estremi. Secondo le previsioni il culmine si sarebbe avuto il venerdì e tutto sarebbe finito nella notte del sabato. Domenica non si prevedeva pioggia.
Di sabato abbiamo viaggiato verso Ragusa attraversando campagne iblee piene di sole. Sabato sera il meteo confermava: niente pioggia l’indomani. La mattina dopo ci siamo svegliati con un cielo gravido d’acqua e le strade bagnate, ma non pioveva e c’era uno squarcio tra le nuvole. La speranza era che schiarisse. Siamo saliti sulla navetta verso la linea di partenza mentre iniziava a piovigginare. Pioveva apertamente quando siamo entrati nella scuola che fungeva da nodo logistico (leggi: attesa al coperto, bagni a disposizione, spazio per scaldarsi). Ancora fiduciosi che avrebbe smesso per l’ora della partenza, ci siamo occupati d’altro. Dovevamo prepararci.
La pioggia andava e veniva, un po’ sì e un po’ no, un po’ forte, un po’ lieve. Comunque ero decisa a partire. La corsetta di riscaldamento l’abbiamo fatta fuori tra le pozzanghere. Al terzo passo mi si è bagnata la punta della scarpa destra. Ho pensato: avrò un freddo maledetto. Non avevo idea che sarebbe andata molto peggio di così.
Al via pioveva, 1 km dopo pioveva di più. Inizialmente schivavo le pozzanghere come meglio potevo, poi mi sono arresa. Se non mi inzuppavo sola, ci pensava chi correva di fianco a me, davanti o dietro, schizzando acqua ovunque. In certi punti comunque non c’era modo di evitare le pozze se non avendo le ali. Avevo già le scarpe bagnate, le calze zuppe, e altra acqua cadeva dal cielo. I più previdenti si erano portati una mantellina di plastica, la giacca antivento. Comunque insufficienti. Io avevo solo manicotti e scaldacollo. Dopo 3 km ho tolto gli occhiali. Senza non vedo bene, ma con gli occhiali bagnati non vedevo niente. Appena usciti dalla città, in mezzo alle campagne, ha cominciato a grandinare. Non ci potevo credere.
Io, che fino a pochi mesi fa neppure uscivo a correre se minacciava pioggia, e che avevo saltato una gara la settimana prima per non raffreddarmi, proprio io stavo correndo con le peggiori condizioni meteo. Decisa ad arrivare in fondo. Convinta che sarei arrivata in fondo.
Non è che pioveva e basta. C’erano pure vento, nebbia, grandine, pozzanghere inaggirabili. Le scarpe immerse fino alle caviglie, i vestiti appesantiti dall’acqua. Ogni tot strizzavo lo scaldacollo per alleggerirne il peso. Con i corridori vicini ci scambiavamo battute per alleggerire la tensione: diventerà una gara di nuoto! - se non altro ci stiamo idratando - teniamolo il bicchiere del ristoro, ce lo riempie il cielo.
E tuttavia andavo, continuando a correre, spingendo quanto possibile, conservando le energie in salita, azzardando una velocità più allegra in discesa, cambiando passo dentro le pozzanghere più profonde. Più che uno sforzo fisico - per quanto correre in quelle condizioni non sia stato facile - questa gara ha richiesto un grosso sforzo mentale. Ho scoperto di avere le risorse per affrontarlo.
Non ho fatto chissà che tempo, ma ho chiuso la gara con gioia. Durante la corsa, anche nei momenti più duri, non ho mai pensato ma chi me lo ha fatto fare? né non vedo l’ora che finisca ma sempre ce la posso fare. Gli ultimi km in discesa li ho corsi ridendo, nonostante un principio di crampo al polpaccio al 18°.
L’ultimissimo km iniziava in salita e l’ho corso pensando che ormai c’ero, mancavano solo 400 metri, 300, 200, ecco il traguardo, potevo vederlo. Volevo rallentare perché durasse di più (e per non scivolare sul pavimento di pietra di Ibla), ma volevo anche volare per sentirmi invadere dalla felicità tagliando l’arrivo, per avercela fatta, nonostante tutto.
Al traguardo ho riso e ho pianto, ma solo un pochino. Mi hanno messo la medaglia e anche il nastro della medaglia si è inzuppato. Il crampo che mi aveva graziato al 18° mi ha morso in quel momento.
Poi è stato il momento del riposo. Dell’esaltazione, dei racconti, dei commenti. Delle gambe pesanti e del cuore leggero. Dei muscoli stanchi e della testa piena di euforia. Due ore dopo già cercavo le gare delle prossime settimane. Volevo sentirmi ancora così, mentre ancora mi ci sentivo.
Durante questa gara, più che mai fino ad ora, ho realizzato che sono capace di andare oltre quello che pensavo di saper fare, di poter fare, di voler fare. Posso affrontare tutte le condizioni avverse e arrivare comunque a destinazione. E arrivarci pure contenta.
La beffa: un’ora dopo la fine della gara è uscito il sole. In serata il cielo era pieno di stelle. Il giorno dopo è stato terso, assolato e caldo.
Sono le condizioni peggiori a renderci migliori ed è proprio "standoci", che scopriamo risorse che non credevamo di avere e che scorgiamo quante altre risorse nascondiamo. Mi hai fatto venire voglia di correre sotto la pioggia
Grande soddisfazione