
Già sai che molte di queste lettere le scrivo mentalmente durante la corsa, prima di trasferirle qui. Anche questa, in parte. Ricordo anche l’allenamento che stavo facendo mentre pensavo al peso delle aspettative. Era un variato che alternava ripetute da 1.5 km e da 400 metri, a velocità diverse, con brevissimi recuperi. Un allenamento che ormai padroneggiavo, ma in quei giorni, per ragioni che ho raccontato qui, annaspavo.
La sera prima parlavo con la mia amica Fra di quanto mi sentissi demoralizzata nell’accorgermi che corse che consideravo facili ora mi sembravano fatiche erculee. Di quando fossi frustrata accorgendomi che il mio corpo non collaborava più. Le dicevo che, per esagerato che potesse sembrare, questa maratona al momento è una mia priorità e immaginare di fallire mi fa stare male. Lei mi ha detto che forse era il peso di quella responsabilità a farmi da zavorra.
Ci ho ripensato a lungo e ho ripensato al mio proposito di non caricare troppo di aspettative quella gara. Quel proposito ha preso un po’ di polvere, da quando l’ho formulato due anni fa. Guardando ai mesi passati, quale gara - tra le pur poche che ho corso finora - non ho caricato di aspettative? Anche quando partivo decisa a “divertirmi e basta”, come se non fosse un’aspettativa pure quella.
Poi, leggendo A Running Mind di Laura Burzi, mi si è accesa una lampadina. C’è un punto della newsletter in cui parla di interferenze che possono influire sulla tua capacità di fare qualcosa che sai di poter fare. Nomina una serie di possibili interferenze interne: “pensieri sabotanti, paura, mancanza di fiducia, aspettative troppo alte o troppo basse.”
CLICK (la lampadina che si è accesa nella mia testa)
Per qualche ragione avevo sempre pensato al carico delle aspettative in positivo: sempre troppe, troppo alte, troppo ambiziose. Fare quel tempo, divertirsi al massimo, superare i limiti, stupire me stessa. Invece no! A farmi davvero male sono le aspettative in negativo. Il codazzo di “e se?” di cui carico ogni corsa. Mi convinco di non essere abbastanza forte, veloce, reattiva, qualunque-altra-cosa, e finisce che mi sento debole, lenta, arrancante. Sono le aspettative al ribasso che mi squalificano ai miei stessi occhi erodendo la mia fiducia. E pure il divertimento.
Come cambiare questo atteggiamento? Primo: farci caso. Secondo: lavorare di più sul Self Talk di cui avevo scritto qui. Terzo: (provare a) preoccuparsi di meno, per ritrovare la gioia di correre per correre, prima che correre verso un obiettivo.
Ops, sono aspettative anche queste?
Eh si, a volte non ci accorgiamo di quanto ci zavorrino quelle aspettative verso noi stessi, costruite su basi sbagliate, su basi costruite al ribasso per la semplice sfiducia di poter puntare a quello che possiamo davvero raggiungere.
A volte, invece, può essere anche inconsapevolmente spaventoso, poter raggiungere certi obiettivi, perché già prima di arrivarci, sentiamo il peso di doverlo poi confermare, come se non lo meritassimo mai davvero.
Le aspettative sono fondamentali come motore del nostro agire. Agiamo, ci alleniamo in un certo modo, perché ci aspettiamo di raggiungere un obiettivo. Ogni nostra azione è mossa da una aspettativa di causa-effetto.
Quello che interferisce con la capacità di esprimere il nostro potenziale, è lasciare che queste aspettative diventino il martello del nostro giudice interiore e lasciare che questo martello batta sempre sul tavolo, impedendoci di essere lucidi e di lasciare che il corpo faccia quello che sa fare.
No, carissima. Questi sono sani propositi. Che ci aiutano a fare e stare meglio. Quindi... daje!