
Lunedì scorso avevo in agenda un incontro con una persona che mi ha offerto un nuovo lavoro. Io l’ho vissuto come un colloquio e mi sono preparata con la solita sequenza di ansie e figurati se prende me. È venuto fuori che non era un colloquio, non lo era mai stato, ma una proposta: quella persona mi aveva già scelto, voleva proprio me.
Dopo l’incontro mi sono interrogata per l’ennesima volta su quanto sia capace di auto-sabotarmi preventivamente. In passato ci sono state occasioni che ho perso perché non mi ritenevo all’altezza, neanche di provarci. Le cose sono un po’ cambiate con gli anni e l’esperienza, ora le occasioni se non altro le ascolto tutte. Ci arrivo però quasi sempre convinta che mi siano capitate per caso, che potrebbero essersi sbagliati, che si accorgeranno che non ero io la persona giusta.
Anche con la corsa sto cercando di arginare questo atteggiamento provando a far prevalere più spesso che posso Sara-yee (qui raccontavo le due Sare). Poi sono iniziate le Olimpiadi. Io rientro tra chi lo sport preferisce farlo che guardarlo, con la sola eccezione dei Giochi Olimpici. Ogni quattro anni sono pronta a entusiasmarmi pure per competizioni di sport di cui non so assolutamente nulla e magari neanche sapevo esistessero, prima. Guardando Parigi 2024 ho notato che alcunə atletə, un momento prima di cominciare la prestazione, parlavano a se stessi.
Ci ho fatto caso perché proprio in quei giorni recuperavo spesso alcune gare tramite reel su Instagram, visto che purtroppo sono incastrata nel malsano meccanismo del lavoro-per-campare e non potevo passare tutto il giorno davanti alla tv. Uno di questi reel parlava di Self Talk. Lə atletə si dicevano, chi a voce alta e chi solo mimando con le labbra, ce la puoi fare, ce la farai, adesso semplicemente lo fai, lo sai fare, hai lavorato per questo, lo hai già fatto, dai che ce la fai. Variazioni su tema della stessa cosa: si incitavano, ricordavano a se stessə che quel momento era il culmine di un lavoro più lungo, di sacrifici e preparazione. Si dicevano che potevano farcela e ce l’avrebbero fatta.
Ho fatto dunque qualche ricerca e ho scoperto che il Self Talk, o comunicazione intrapersonale, è un concetto già ben sviscerato dalla psicologia (non parliamo poi dalla letteratura!) e si applica anche allo sport. Il principio è indurre un atteggiamento positivo verso quello che si sta per fare e le proprie capacità. In effetti qualche volta l’ho fatto anche io, senza sapere che si chiamasse così e fosse una tecnica che addirittura si insegna.
Quello che conta di più pare sia usare la forma affermativa e non quella negativa. Per capirci, non ci diremo “non ti distrarre” ma “concentrati”. Mentre il negative self talk finisce per indebolirci, il positive self talk rafforza l’autostima, riduce l’ansia, ci fa riprendere il controllo e ci aiuta a raggiungere i nostri obiettivi.
Non la farei così facile, ma è un fatto che l’allenamento mentale, nella preparazione di una maratona, non è meno importante di quello fisico. Le gambe magari ce la fanno ma la testa a volte sembra volerti convincere che no, non ce la fai proprio per niente, tanto vale che ti fermi. Lì può intervenire la cosiddetta inner voice, o voce interiore. Nel dialogo con noi stessə possiamo provare a dirci che invece sì che ce la facciamo. E vedere l’effetto che fa.
Il discorso interiore negativo è anche una cosa che blocca nell'apprendimento linguistico. Portare attenzione su da quanto tempo è che ti dici "non riuscirò mai a essere bravə a parlare _______ " è proprio uno dei temi che si affrontano per sciogliere nodi, se è il caso 💜 un sacco di volte poi viene fuori che non riguarda nemmeno solo noi e le lingue, ma anche noi e un sacco di altre cose.
Brava te che ti parlavi pucci per i fatti tuoi a prescindere da tecniche e consigli, dunque 🌸 sicuramente è che hai già lavorato tanti altri ambiti :)