Se dovessi rispondere alla domanda del sottotitolo - cosa mi fa la corsa - potrei dire bene e potrei dire male e non direi una bugia in nessun caso.
Mi fa bene perché mi dà uno spazio di libertà, un tempo da dedicare a me, in cui poter essere solo un corpo e una mente in sincrono mentre eseguono un movimento che sembra una danza, nel tempo e nello spazio ma in qualche modo slegata dalla contingenza.
Mi fa male perché ci sono settimane di allenamento molto tosto, perché alcune sessioni non terminano mai e perché la sofferenza è parte integrante dello sport di endurance, prima lo accetti e prima inizi a divertirti. Perché si prende tante ore del mio già scarso tempo libero, è pervasiva e ingombrante. E pure perché le mie amiche non mi sopportano più visto che parlo quasi sempre di corsa: scarpe, ritmo, ripetute, dolori, sconfitte, esaltazioni, obiettivi, dubbi. (Scusatemi. Vi adoro).
Ma la corsa fa anche un’altra cosa, la più sorprendente di tutte: trasforma.
Quel che appare futile e senza scopo, correre per ore e ore senza andare davvero da nessuna parte né fuggire da niente (ma su questo ci sarebbe da dire), ha tuttavia un enorme potere di trasformazione.
La corsa - dico la corsa fatta con metodo, con obiettivi, impegno e sì, anche sacrificio - mi ha trasformata. La cosa più evidente è che ha trasformato il mio corpo, è diventato più forte. Ma ha trasformato anche il mio rapporto con il corpo, in cui oggi ho più fiducia, con cui sono più gentile, più attenta, in parte più esigente ma soprattutto più consapevole.
Ha trasformato la mia capacità di resistere. Resisto più a lungo e con più pervicacia (fisicamente e non). Ha trasformato il modo in cui affronto le difficoltà. Sono più conscia delle mie capacità e pure dei miei limiti. So fin dove possono spingermi e dove è meglio fermarsi o, quando è il momento, andare oltre. Sono più attenta ai segnali, interni ed esterni. Sono più vigile e più reattiva. Più padrona di me.
Ha trasformato soprattutto il modo in cui maneggio la paura. No, non è stata spazzata via, è ancora qui, tutta qui. Però la guardo con altri occhi. Spesso è un’occasione per imparare qualcosa su di me. Qualche volta prova ancora a sovrastarmi, e talvolta ci riesce comunque, ma la sua presenza non è più un’ombra minacciosa acquattata in un angolo, che non so mai quando si leverà a incalzarmi. Ora è qualcosa che vedo e riconosco, l’accetto e sono pronta ad attraversarla. Tremo, oh se tremo. Ma l’ho già fatto perciò posso rifarlo, ogni volta un po’ più risoluta, non più a tentoni e a occhi chiusi, ma con la testa alta, lo sguardo dritto, le gambe forti.
Edit: questa newsletter l’ho scritta di mercoledì ma venerdì è stata svelata la medaglia della maratona di Atene 2024 e mi sono emozionata moltissimo vedendola. La trovo bellissima. Inoltre rappresenta un rametto di ulivo che ha un significato legato ai giochi olimpici dell’antichità, nonché ad Atene stessa (e alla dea Atena). Tra l’altro gli ateniesi usano regalare rametti di ulivo ai corridori durante la gara. Ti racconto meglio nella prossima puntata ma se intanto vuoi vederla, si trova qui.
Quello che scrivi sulla paura è la descrizione del coraggio.
Essere coraggiosi non vuol dire non avere paura, vuol dire essere capaci di farlo lo stesso, attraversando la paura.
Quello che si guadagna, alla fine, è apprendere che quello che temiamo molto spesso è peggio eni nostri pensieri che nella realtà.
La medaglia è davvero bellissima!