La mia corsa progressiva di venerdì terminava con un ultimo km veloce che poco mancava mi facesse uscire gli occhi di fuori. Restavano gli ultimi 300 metri e mi parevano 300.000. In quel momento ho desiderato togliermi l’orologio.
Detta così sembra una di quelle cose bizzarre che si fanno quando si è fuori di sé, come quando si delira durante la febbre. In realtà ho desiderato, per un momento, tornare a correre come lo facevo prima di tutto questo: senza ordine, senza cadenze, ritmi, numeri. Come viene viene. Come un cane, raccontavo qui.
Da un mese abbondante sto sperimentando una fatica nuova, che rende i miei allenamenti più gravosi. Ne ho individuato la causa, se non altro, e sto lavorando alla soluzione. Ma intanto da settimane gli allenamenti non mi riescono come prima. Riuscire a chiuderli solo con molta sofferenza mi ha fatto desiderare di non avere un piano da rispettare. Ma ce l’ho, quella maratona non si correrà da sola, lo so. Ho contato i giorni rimasti, sono 140.
Giusto ieri ho terminato di leggere un libro sul tempo di Guido Tonelli, che è un fisico. Si intitola Tempo. Il sogno di uccidere Chronos. A un certo punto, parlando del tempo in ambito quantistico, si affaccia la teoria della gravità quantistica a loop secondo cui il tempo non è più una variabile fondamentale. Non mi avventurerò qui nella spiegazione, non ne sarei capace. Semplificando moltissimo, il tempo potrebbe - ecco, sì - non esistere affatto.
Che prospettiva vertiginosa! Nella corsa invece è onnipresente: non facciamo che cronometrarlo, inseguirlo, persino temerlo. Se da un lato la corsa mi rimette in contatto con l’istante presente, dall’altro mi porta a essere perennemente proiettata in avanti, verso un tempo da migliorare, un conto alla rovescia da rispettare.
Non ho mai corso per i numeri, probabilmente perché non ho i numeri per farlo, ma porto al polso un Garmin per rispettare un piano di allenamento. Quando mi capita di segnare un miglioramento decisivo, la scarica di adrenalina è un potente motore per continuare.
Il tempo nella mia corsa conta anche in un altro modo. Non è facile difendere quelle 6 ore a settimana, che poi 6 e basta non sono mai, perché devo considerare il tempo che mi serve per prepararmi a uscire e quello che mi serve dopo la corsa per stretching, recupero alimentare, doccia. E poi ci sono le ore extra di allenamento di forza che supportano la corsa. E tutte quelle spese a rimuginare sulla corsa, come faccio qui, ma anche nelle chat con le mie povere amiche e in quella con il mio coach.
Sono schiava del tempo ma al tempo stesso mi sembra che ritagliare quello per la corsa, e riuscire a mantenerlo per anni, sia una specie di dichiarazione d’indipendenza. Lo strappo alla tirannia del resto che vorrebbe ingurgitarsi tutte le mie ore, me ne riapproprio.
Poi c’è il tempo interiore della corsa. Correndo la percezione che ne ho cambia qualità: a volte si allunga, rallenta; a volte è un attimo ed è già finita. Altre volte si dissolve, non conta più. Quando sono nel momento sono pura presenza, non esistono prima e dopo. Sono questi momenti che desidero prolungare, per paradossale che possa sembrare. La corsa come modo per stare nel tempo anziché inseguirlo. Sempre che esista.
Mi sono salvata il libro nella lista dei desideri.
Leggerti. spesso, è come ascoltare i miei pensieri.
Grazie Sara