E hai vinto? mi sono sentita chiedere con tono beffardo dopo la mia ultima garetta, a cui peraltro ho partecipato per il solo piacere di correre su un tratto di strada panoramica solitamente trafficata e impraticabile se non in auto.
La competizione proprio non mi interessava, nel caso specifico. E per la verità non mi interessa neanche in senso generale. Nei giorni scorsi, quando ho dichiarato di essermi iscritta a due gare ormai imminenti, mi sono sentita chiedere di nuovo: pensi di vincere?
Una domanda del genere mi fa ridere e insieme mi spiazza perché penso di apparire come l’incarnazione di chi non potrebbe mai vincere una corsa. Ogni risposta mi sembra superflua: guardami, ma ti pare?
Al di là delle motivazioni che mi spingono a correre, che non sono legate a ottenere un risultato agonistico, c’è un altro fatto che a me risulta lampante e suppongo anche a chiunque corra a livello amatoriale. Ma non, forse, a chi non corre. Nella corsa non si vince. Meglio ancora: non si corre per vincere.
Certo, qualcuno che corre per vincere e che poi vince c’è, ma non sarò mai io. Non saremo mai noi che corriamo da dilettanti e stiamo con il grosso della folla che parte dietro le prime linee. Eppure, alla fine di ogni corsa io mi sento una vincitrice.
Anche quando la corsa non va come speravo, il solo fatto di concluderla, aver resistito, aver superato i guai, avercela fatto ad arrivare al traguardo: mi fa sentire eroica, mi fa sentire vittoriosa.
Il paradosso della corsa. Nello sport non vincere significa perdere, ma nella corsa no. Se arrivi al traguardo, hai vinto pure se sei in fondo alla classifica. Non perché ti danno la medaglia, che riceve chiunque completi la gara entro il tempo massimo, ma perché hai vinto la tua scommessa su di te.
Certo il senso di fallimento per una corsa andata male lo senti eccome, specialmente se avevi costruito un’aspettativa e avevi lavorato sodo per rispettarla. Ma è un altro discorso. Quando corro, competo solo contro di me, che sia da sola oppure in mezzo a centinaia di altre persone che stanno facendo la stessa cosa.
La cosa incredibile è che in qualche caso lo fai fianco a fianco ai professionisti (beh, in realtà qualche fila dietro) che invece il podio possono agguantarlo per davvero. Alla linea di partenza ci sono anche chi farà metà corsa camminando, chi ha un tempo dimezzato rispetto al mio, chi si ritirerà prima della fine, chi arriverà ultimo. E quell’ultima potrei benissimo essere io. Ognuno ha la sua gara da affrontare e a nessuno di noi importa di perdere. Nessuno pensa neppure lontanamente che, comunque vada, perderà.
Appurato che non posso certo vincere, e non mi importa, mi sono chiesta quindi cosa significhi per me perdere. Quando comincio una corsa metto in conto tutte le possibilità e mi tengo aperta anche l’opzione del ritiro, ma spero di non doverci arrivare. Ecco, lì sta il nodo: ritirarmi, quello sì, lo percepirei come una sconfitta. Ma, come dicevo qui, anche fallire fa parte del viaggio.