Un pomeriggio di molti anni fa l’insegnante di danza disse alla classe che frequentavo: dovete ripetere e ripetere fino al punto in cui non siete più voi che danzate, ma la danza che vi danza. Aspirare alla perfetta comunione: la danzatrice non agisce più la danza, è il contrario, la danza si incarna nella danzatrice.
Diversi anni dopo, un insegnante di meditazione disse in una classe così affollata che pensavo non ne avrei tratto altro che l’afrore di troppi partecipanti dentro il mio naso: non meditiamo per perseguire un obiettivo ma se un obiettivo ci fosse sarebbe entrare nel flusso. Stare, fino a fluire.
In epoche diverse della mia vita, in termini diversi, parlavano della stessa cosa. Parlavano dello stato di flow, come avrei appreso solo più tardi. Di recente ne ho sentito parlare ancora a proposito della corsa come di quello stato beato in cui diventi tutt’uno con il momento e il movimento. Quando è la corsa che ti corre. Quando entri nel flusso.
Non mi addentrerò nella definizione della teoria del flusso elaborata dallo psicologo psicologo Mihály Csíkszentmihályi nel 1975, nei processi neurali che lo determinano o nelle filosofie orientali che ci erano arrivate svariati secoli prima, ma una definizione pur generica ci serve: cos’è lo stato di flow, o stato di flusso? Sintetizzando, è quel momento in cui si è talmente assorti in un’azione da perdere la consapevolezza di tutto il resto. Un’attenzione concentrata al massimo grado. Non esistono più distrazioni, non esiste il tempo, non badi a nulla e nessuno. Neppure a te. Sei solo azione. Sei nel momento.
Si applica anche allo sport e l’ho sperimentato io stessa nella corsa. Non succede tutte le volte ma quando succede, e me ne rendo conto, avverto una sensazione di assoluta pace e al tempo stesso di euforia. Non sono più io che butto il passo avanti, la corsa va da sé, il corpo funziona da solo ma è in perfetta armonia con la mente, a guidarmi è l’istinto e non più la ragione. Non decido di correre, mi lascio correre.
E quant'è meraviglioso, e liberante!