
Ho pensato in almeno due occasioni di introdurre questo argomento qui ma ogni volta mi sono tirata indietro. Poi ne ho parlato con la mia amica
, le ho detto che non sapevo come impostare il discorso perché temevo di banalizzarlo nelle poche righe di questa newsletter. Lei mi ha scritto: Secondo me non corri il rischio di banalizzare. Ci è solo difficile dire certe cose. Dovresti scriverla e in tante si riconoscerebbero. E io: Proverò a scrivere una bozza stasera, vediamo che viene fuori. Al massimo la lascio lì a decantare finché non mi sento pronta. Questa è quella bozza. Ha decantato un paio di settimane.Da dove cominciare? Da me che inizio a correre e indosso solo leggings lunghi. Pure in estate, pure con 30 gradi. Mi sento scema ma all’idea di mostrare le gambe mi sento peggio. A disagio. Eppure ho portato shorts e gonne corte per decenni. Li metto ancora, ma nello sport mai.
Dopo qualche mese inizio a considerare le mie gambe in un altro modo e il loro aspetto non è più in cima ai miei pensieri quando mi vesto per uscire a correre. Gli orli dei miei pantaloni da running si accorciano. Passo ai corsaire, poi ai ciclisti sopra il ginocchio. Alla fine compro il mio primo paio di svolazzini. Mi rendo conto subito che le gambe si muovono meglio, non sono compresse, costrette, coperte.
Inizio a metterli quando vado a correre da sola, in zone dove sono sempre sola, in orari in cui in giro non c’è nessuno. Evito di guardarmi le gambe perché invariabilmente mi distraggo dalla corsa e da come le sto usando per concentrarmi su come appaiono. Mi sento scema. E mi sento a disagio. Però un po’ meno ogni volta.
C’è voluto tempo e c’è voluto un certo lavoro su me stessa per superare la vergogna di mostrare le gambe correndo. Non c’è stato un momento in cui ho smesso di vergognarmi, è stato un processo graduale e sotterraneo. Fino a quando ho messo via tutti i pantaloni lunghi. Ho continuato a usare i pantaloncini corti anche d’inverno.
Che libertà! Prima il pensiero retrostante era: mi vergogno a mostrare le gambe. Ma a chi? Perché? Le notavo solo io. Ora il pensiero è: le gambe non le mostro, le uso.
Siamo cresciute (quante altre come me?) con questa idea dell’immagine di noi che deve essere perfetta, che deve essere “giusta”. Se deroga dallo standard - irrealistico, nonché inutile - non va bene. Non va bene a noi prima che a chiunque altro. Agli altri delle mie gambe non frega niente. Il problema era solo mio. Ma era davvero mio? O avevo introiettato pressioni esterne?
Mi sono chiesta come mai non provi lo stesso disagio riguardo ai capelli bianchi, che non tingo più. Chi scopre che non lo faccio si stupisce, perché ho 47 anni e pochissimi fili bianchi. Non è un merito, né lo percepisco come un vantaggio, è solo una cosa che è andata così. Lo stesso vale per i segni del tempo sul viso. Sono lì perché è accaduta la vita. Quando mi dicono che dimostro meno dei miei anni mi scoccia un po’. Me li sento tutti, e ci tengo. Ci tenevo a 30 anni, perché dimostrarne meno portava gli altri a sminuirmi, a prendermi meno sul serio. Ci tengo ora perché sono il mio patrimonio: tutta vita che ho vissuto.
Allora perché con le gambe era diverso? Una risposta sicura non ce l’ho, ma so che ciascuna delle mie amiche ha una parte del suo corpo che considera sbagliata, quella in particolare. Per i motivi più vari, ma che si possono ricondurre a uno: il corpo delle donne è perennemente controllato e la cosa peggiore è che diventiamo noi stesse le nostre controllore.
Sono passati quasi due anni e nei pantaloncini mi sento finalmente a mio agio. La trasformazione è stata graduale ma significativa. Le mie gambe sono diventate forti. Mi tengono in piedi, come prima, e come prima mi portano ovunque. Ma mi hanno portato pure dove non pensavo di poter arrivare. Ora sanno correre alla velocità che decido io, resistere per ore, recuperare in fretta. Non devo cambiarle o nasconderle, migliorarle o mostrarle. Non m’importa più niente dell’aspetto delle gambe, m’importa quello che posso farci.
La aspettavamo tutte questa puntata. Grazie, amica 🩷
Grazie, non credo ci sia il bisogno di aggiungere altro.