C’è una cosa che l’ashtanga yoga e la corsa condividono ed è il nocciolo stesso delle due pratiche: la ripetizione. L’ashtanga prevede una sequenza predeterminata e sempre identica di asana, che si eseguono coordinandoli al respiro. La corsa pure. Sono passi messi in fila, un andamento che si ripete centinaia, migliaia di volte, per produrre movimento coordinato al respiro.
Frequento lo yoga da 10 anni e ashtanga da poco meno e tra le moltissime cose che la pratica mi ha insegnato c’è la disciplina. Prima di tutto quella del respiro. Trasformare l’atto più naturale e istintivo, che funziona anche senza la volontà, in una danza diretta da me. Poi la disciplina della mente. La pratica dell’ashtanga è un processo svincolato dal risultato. Conta il viaggio e non la meta. Inoltre, il viaggio non va sempre in avanti. Talvolta si torna indietro, o ci si ferma, a volte si resta in un punto per un po’ prima di continuare. Sembra di non procedere ma si sta consolidando. Anziché andare in avanti, si va in profondità. Tutto questo insegna la pazienza, la perseveranza, la dedizione ma anche la capacità di fermarsi e riconoscere un limite. Arriverà il momento di superarlo ma non è adesso. La corsa funziona allo stesso modo.
Studiando ashtanga mi sono imbattuta in due concetti chiave di questa disciplina che Patañjali, filosofo indiano II secolo a.C., nomina in Yoga Sutra I.12:
abhyāsa vairāgya ābhyāṁ tan nirodhaḥ
In traduzione, semplificando un po’ la sovrabbondanza semantica del sanscrito, diventa: il controllo delle fluttuazioni della mente (si raggiunge) tramite pratica costante e non attaccamento.
Abhyāsa è la pratica costante e disciplinata, un impegno a cui ci si dedica con continuità e tenacia. Vairāgya è il non attaccamento, l’agire senza aspettativa, se vogliamo anche un po’ il let it be. Il primo è una presenza attiva e proiettiva, un’intenzione concentrata. Il secondo la libertà di vivere solo nel momento. La loro coesistenza - perenne ricerca di equilibrio, instabile per definizione - mi pare si applichi anche alla mia corsa. Sto provando ad applicarlo anche alla vita.
Che bella Sara questa consonanza tra passi e respiri, e quanto mi ci ritrovo nel processo continuo di costruzione dell'equilibrio.
Ecco, sono anni che mi dico di iniziare a fare yoga per accompagnare la corsa, che pratico da anni; questa tua puntata è un altro segno della direzione da seguire.
Sara, questo numero mi è piaciuto assai. Sei riuscita davvero con grazia ad inserire quel personale che ci eravamo dette. Ciò che amo dello Yoga - pur non essendo una praticante molto disciplinata, ancora - è proprio questo distacco dalle aspettative, il campo della ricerca costante e dell’esperienza.