
Alla fine degli anni ‘90 scoprii Andrea Pazienza. Mi ricordo dov’ero, al Nievski, storico locale catanese, e pure con chi. Accadde tramite una vignetta appesa al muro del locale, sotto la quale qualcuno aveva scritto a mano, attribuendola all’autore, la frase “mai voltarsi indietro, neppure per prendere la rincorsa”.
Quella sera, in quel periodo della mia vita, mi guardavo spesso alle spalle per il terrore che mi faceva guardare avanti. Mi parve scritta per me. Poco importa che sia un errore di attribuzione, chiunque l’avesse detta (e scritta su quel muro con un pennarello rosso), era lì per dirmi qualcosa.
Per molti anni ho creduto che fosse importante imparare a non voltarsi indietro. Fuje, fuje, annanz 'a luce e aret 'o buij, cantava La Famiglia negli stessi anni. Con coraggio, tutto il coraggio che riuscivo a mettere insieme, guardavo avanti. A volte solo nella misura di un singolo passo, a volte più lontano.
Poi il tempo che restava dietro ha cominciato a crescere, mentre crescevo io. Indietro hanno cominciato a restare anche persone che prima camminavano con me. Guardare indietro era il solo modo per tenerle con me. Era anche il solo modo per ricalibrare il passo in avanti. Puoi negare mille volte da dove vieni, e puoi cambiare direzione, certo, ma il tracciato alle tue spalle non lo cancelli. Lo puoi negare o lo puoi ignorare, smettere di voltarti indietro, ma è da lì che arrivi.
Girarsi per un’altra occhiata, mentre stai andando via, ti dà uno sguardo nuovo sulle cose che hai visto passandoci in mezzo. E così ho ricominciato a guardarmi alle spalle, in un modo diverso da come lo facevo prima. Non con nostalgia o rimpianto. Con curiosità, in cerca di tracce. Attivamente.
Lo sto facendo anche con la corsa. Quando mi sembra di non progredire, oppure attraverso momenti di stanca, provo a guardare indietro. Tutta quella strada percorsa. Tutti quei chilometri. Tutte quelle mattine. Tutte le cose che ho imparato. Tutte quelle che mi hanno esaltato o prostrato. Tutti gli errori. Guarda dove sono arrivata. Guarda come ci sono arrivata. Il punto in cui mi trovo è sempre, nello stesso tempo, un arrivo e un partenza.
Mentre scrivevo questa newsletter mi è tornata in mente la pagina di un libro letto qualche anno fa. Era Viaggi nel tempo di James Gleick, tradotto da Laura Servidei per Codice. Ho ritrovato la foto di quelle righe, che riguardano il modo in cui pensiamo al passato e al futuro.
Brividi questa puntata ♥️
Ho iniziato a correre per "fuggire" da un evento traumatico che mi ha segnato in modo indelebile.
Correvo per allontanarmi dalla perdita di mia sorella. Senza rendermene conto, e continuando a correre in avanti, ho fatto pace con quello che c'era dietro.
Sarò banale, ma correre mi ha insegnato ad essere presente "qui e ora" e questo mi ha permesso di guardare al passato e al futuro con la giusta attitudine, rimanendo comunque sempre saldo al presente.
Non so' se sono riuscito a spiegarmi, è un ragionamento un po' contorto ...